

Stavo riflettendo qualche giorno fa sulla complessa questione del cambiamento. Di tutto ciò che si dice rispetto all’accogliere il cambiamento, vedere nel cambiamento un’opportunità, dare il benvenuto al nuovo che avanza e tante altre affermazioni del genere.
E ci stavo pensando perché una persona, ancora una volta, mi ha detto che tutte queste affermazioni sul cambiamento le capisce e che il cambiamento non incontra comunque i suoi “favori”. Un po’ come dire “a me il cambiamento non piace”.
E quello che ha colpito la mia attenzione è che più di una persona mi ha detto questa cosa. Ed è detto con un volume di voce basso. Quasi fosse una “confidenza” o un qualcosa che non si può dire ad alta voce. Forse perché la “tendenza” di oggi è quella di “dover” dire sempre sì al cambiamento. Vivere il cambiamento ora “deve” essere sfidante e straordinario e si “devono” cogliere opportunità prima mai immaginate.
Solo che si deve fare i conti con il fatto che, se le cose vanno bene e i tuoi risultati ce li hai, chi te lo fa fare a cambiare?!
Se non fosse per quel piccolo particolare che viviamo in un mondo che non è immobile. Tutto intorno a noi la vita scorre. E in questo scorrere accadono cose che ci possono toccare da vicino e che possono influenzare qualsiasi sfera della propria vita.
Quindi, dire “il cambiamento a me non piace”, per come la vedo io, ha tutta la sua ragione di essere ed esistere.
E visto che nel divenire si è obbligati a divenire, è quello che si fa con il cambiamento (e come lo si vive) che fa la differenza. E non sono una teorica del “dai un benvenuto al cambiamento”, “vedi il cambiamento come opportunità” o altro. Perché se il proprio approccio è mandare a quel paese il cambiamento e funziona, per elaborarlo e trovare le energie che servono per andare avanti o fare qualcosa, cosa impedisce di indire la propria personale protesta contro il cambiamento?
Mi hanno insegnato che il cambiamento richiede il passaggio attraverso quattro fasi. C’è chi ne toglie una, chi ne inserisce una in più: la sostanza non cambia.
La prima fase è quella della negazione: il cambiamento non esiste e non mi tocca.
La seconda fase è quella della resistenza: questo cambiamento non lo voglio e non mi piace. Può essere una fase “dolorosa” in cui si possono provare anche dei sentimenti vicini alla rabbia.
La terza fase è quella dell’accettazione: tutto sommato questo cambiamento mi sta bene e potrebbe anche piacermi. Si cominciano ad intravvedere delle nuove opportunità.
La quarta fase è quella del coinvolgimento: qui il cambiamento è stato accettato e si è pronti a vederne i risvolti positivi.
Ecco che pensare di accogliere in modo positivo ed immediato un cambiamento è come voler saltare la prima e la seconda fase.
Allora quando qualcuno mi dice che il cambiamento non gli piace e non lo accetta io penso che non c’è nulla di male. Penso che, forse, nel cambiamento bisogna stare un po’ scomodi e saperci stare.
Perché non si può rimanere immobili nel divenire per un tempo infinito. Perché il cambiamento si “impone” che lo si voglia o no.
E’ saper vedere il cambiamento, saperlo cogliere, saperlo vivere che fa la differenza. E per saperlo vivere non intendo viverlo “bene o male”. Perché si può vivere male un cambiamento e renderlo, comunque, funzionale alla propria esistenza e al raggiungimento dei propri obiettivi.
Il cambiamento non ti piace? Va bene! Lo si può anche dire! E poi che si fa?
Per quanto possiamo provare ad andare spediti verso il nuovo che avanza, le fasi uno e due presentano, spesso, il conto se si prova a saltarle a piedi pari o far finta che non esistano.
Conto che spesso consiste nel aver pensato di aver accettato quel particolare cambiamento. Per poi accorgersi, a distanza di qualche tempo, che si è ancora attaccati a quel passato che aveva delle “comodità” che ora non abbiamo più e che, nel complesso, ci andavano bene.
E’ un po’ come aver venduto il vecchio divano e essersi “dimenticati” di acquistarne uno nuovo. Ti accorgi poi dell’errore commesso. Allora o corri a comperare un nuovo divano velocemente o ti trovi costretto a guardare la televisione o leggere il tuo libro preferito seduto su una sedia o sdraiato per terra.
Non è così comodo.
Si può stare meglio facendo ricorso a dei cuscini, in attesa del nuovo divano.
Forse poter stare stravaccati sopra un nuovo divano in fretta è meglio …
Non nascondere a te stesso il cambiamento. Affrontalo.
E affrontalo a modo tuo (e non seguendo la tendenza).
Se per te funziona puntare i piedi: puntali! Ad un certo punto ti faranno male. La posizione sarà scomoda e dovrai muoverti.