

Negli ultimi giorni ho sentito due domande che mi hanno fatto riflettere su alcune cose …
Fanno parte di quel genere di domanda che mi chiede insistentemente una risposta. Fino a quando non trovo una risposta che, per me, abbia un senso la domanda rimane lì.
La prima domanda l’ho sentita qualche giorno fa ed era più una riflessione a voce alta che una domanda rivolta a me. La seconda mi è stata posta ieri sera.
Prima domanda.
Ci sono persone che hanno costruito un’azienda e hanno una “scarsa” conoscenza delle soft skills. I formatori comportamentali da anni “predicano” sull’importanza delle competenze trasversali. Eppure ci sono imprenditori e manager che costruiscono e reggono aziende e organizzazioni non avendone conoscenza e competenza. Non è che come formatori si sta sbagliando tutto?
Seconda domanda.
Perché alcuni argomenti sembrano essere più importanti di altri e colpiscono maggiormente l’attenzione delle persone? Perché quando si parla di grit, ad esempio, le persone ne rimangono colpite? E’ solo perché è qualcosa di nuovo?
Mi sono data queste risposte.
Ci sono persone che mettono in campo quelle che posso definire come “meta – competenze”, che consentono loro di avere i risultati desiderati. Per “meta -competenze” intendo delle competenze oltre le competenze e, in quanto tali, rendono possibile l’applicazione della competenza.
Carol Dweck, psicologa statunitense, parla di mentalità di crescita. Questa mentalità di crescita è una “modalità di pensiero” che fa sì che le persone non vivano gli errori o gli insuccessi come fallimenti, bensì come mete non ancora raggiunte.
La mentalità di crescita si differenzia dalla mentalità fissa secondo cui le persone sono intelligenti oppure no, talentuose oppure no, brave oppure no. La mentalità di crescita prevede il “non ancora”, ovvero se non ho ottenuto ora il risultato desiderato non vuol dire che non lo possa ottenere. Semplicemente non l’ho ancora ottenuto. Questa mentalità di crescita permette alle persone di essere rivolte verso l’obiettivo da raggiungere e essere meno inclini al giudizio / sentenza sulla performance personale. Non aver ottenuto un traguardo non vuol dire non ottenerlo in assoluto.
Questo concetto segue una strada parallela al grit, dove perseveranza, persistenza, perseguimento dell’obiettivo vengono vissuti come una tensione in avanti verso la meta da raggiungere e sono slegati da giudizi sulle proprie capacità. Un po’ come dire “ok, non sono ancora bravo abbastanza. Ma posso diventare bravo abbastanza, se ci metto impegno”.
Mi è accaduto di avere davanti a me imprenditori e manager che (“visto che siamo io e te e non ci sente nessuno”) si sono posti il dubbio di ricoprire una determinata posizione per “fortuna”, “essere stati nel posto giusto al momento giusto”, “aver avuto una buona intuizione” … Solo che per ricoprire una determinata posizione nel tempo una persona qualche azione la deve pur fare. Non funziona che tutto muta e io rimango immobile. Così ci si trova a pensare a quello che è stato fatto e non è stato fatto e qualche motivo per ricoprire una determinata posizione lo si trova. Tenendo anche conto che si può fare di meglio. E questo è un nuovo punto di partenza a cui si ancora (nuovamente) la mentalità di crescita insieme, magari, al proprio grit.
Quindi, non è che la categoria dei formatori sta sbagliando tutto. Bisogna fare attenzione alle premesse. Si può essere performanti in vari modi e facendo riferimento a diverse competenze. Applicare in modo impeccabile le varie soft skills non è garanzia di performance e di risultati. E’ necessario anche dotarsi di mentalità di crescita, di grit e tante altre cose che negli anni futuri scopriremo sull’essere umano. Perché sembra che più un essere umano conosca i meccanismi che lo regolano più sia in grado di sviluppare sé.
E qui torna utile fare anche riferimento alla prontezza interiore e alle capacità riflessive dell’essere umano. Ho l’impressione che ci siano imprenditori e manager che sembrano agire in modo scoordinato e senza competenza e che lo facciano con cognizione di causa. Quello che sembra un agire scoordinato ha perizia di intenti e consapevolezza di sé. Nel mio incontrare persone che agiscono in azienda e nelle organizzazioni, in generale, ho sempre più la consapevolezza che l’efficacia di azione in un determinato ruolo sia determinata dalla capacità di riflessione sulle azioni che si intraprendono, sulle conseguenza che ne deriveranno e l’essere più o meno pronti nel prendere decisioni funzionali nel qui e ora e sulla base del contesto di riferimento.
Considerando anche che, molto spesso, si pensa all’attività di riflessione come qualcosa di lento e astratto, mentre la riflessione può essere estremamente veloce e pragmatica.
Molto spesso ci si sofferma su un elenco di competenze da agire e ci si dimentica il cosa serve davvero per poter agire quelle determinate competenze. Se non si sviluppa la mentalità di crescita, la prontezza interiore, la propria capacità riflessiva si rischia di applicare in modo meccanico e poco funzionale qualsiasi nuova teoria che viene presentata o ideata o letta …