

Una persona che conosco si è interrogata sul significato della parola consulente. Scavando alla ricerca del significato della parola è stato colpito da “sedere con”, ovvero sedere per trovare insieme una soluzione.
Questo è un mondo in cui si guarda al consulente, spesso, come colui che è in grado di portare una soluzione immediata ad un problema esistente. Non ci si siede insieme. Ci si siede, piuttosto, uno davanti all’altro. L’aspettativa è quella di esporre il quesito e di avere risposta.
Nella maggior parte dei casi ciò non avviene. E non avviene perché, spesso, non esistono soluzioni preconfezionate. La soluzione va ricercata. Perché ciò sia possibile deve esserci un confronto e uno scambio di informazioni tra le parti. Perché ciò avvenga è necessario del lavoro da fare e delle azioni da intraprendere.
Il consulente si “siede con”, non “al posto di”. E ognuno ha la sua sedia. Entrambe le sedie hanno le loro caratteristiche: possono essere comode o scomode, traballanti o stabili, assomigliare ad avvolgenti poltrone o precari sgabelli. Ognuno è responsabile della seduta che ha.
In genere, chi chiama un altro perché ha un cruccio che lo assilla non sta comodo sulla propria sedia … e sente che è necessario fare qualcosa. E’ necessario trovare la soluzione alla scomodità. Qualche formatore direbbe che si è in questo momento nella zona di apprendimento. Non lo so. La zona di apprendimento non deve essere necessariamente scomoda, a mio avviso. Tutto dipende da come si vive il cambiamento e l’imparare cose nuove.
Ciò che è certo è che chi “siede con” non può cambiare, apprendere, applicare per un altro. Chi “siede con” è responsabile del supporto nell’individuare le soluzioni e non dell’applicazione della soluzione stessa. Chi cerca soluzioni può mentire, non dire tutta la verità, omettere informazioni, interpretare la realtà che sta vivendo in modo improprio.
Questo è uno dei motivi, probabilmente, per cui i processi di coaching hanno successo. Chi si siede con il coach sa che ha almeno il 50% di responsabilità nel processo di coaching e il 100% di responsabilità nelle azioni che metterà in campo. Questo perché il coaching è quel processo che permette al cliente di individuare le “proprie” soluzioni. Il coach non dà consigli, non opera scelte al posto del cliente e non agisce per lui. E, credo, non esista niente di più perfetto delle “proprie” soluzioni.
Ci vengono dati continuamente consigli, che non seguiamo perché, alla fine, non fanno per noi e non ci corrispondono completamente. Ognuno di noi ha le sue particolarità, come ogni team ha la sua “chimica”. Ciò che va bene per un individuo non va bene per un altro. Ciò che si adatta ad un team è improprio per un altro team.
Per questo parlo delle “faticose” soluzioni. Perché non esiste il “preconfezionato”, esiste il confezionato su misura. E nel confezionato su misura si deve avere la pazienza di avere un sarto attorno che prende le misure, che pone delle domande su come deve essere questo o quest’altro e che può anche pungere con gli spilli. Un abito su misura richiede un “tempo di acquisto” più lungo rispetto all’abito, anche di buona fattura, che è già confezionato. Puoi anche far venire il sarto a casa tua. Il tempo per confezionare l’abito che desideri sarà comunque più lungo rispetto all’acquisto di uno già pronto.
La differenza sostanziale è che poi si ha ciò che si desidera davvero e che si adatta veramente all’individuo o al team, seduto su una sedia, più o meno comoda, a chiedere una soluzione.