

Secondo Henry Miller “in una sala di specchi non c’è modo di voltare le spalle a te stesso”.
Questa frase mi ricorda tutte quelle volte che mi sono sentita dire: “Coach tu sei il mio specchio parlante”
Il cliente stava parlando della sua possibilità di “fermare il tempo”, di riflettere sugli ultimi accadimenti davanti a qualcuno. Era un riflettere a voce alta, con qualcuno pronto a fare domande utili a comprendere “meglio” cose e situazioni.
Questo al fine di fare il punto su quanto c’era da imparare dalle ultime esperienze vissute.
Si sa, l’adulto impara dall’esperienza solo se ha modo di riflettere su di essa. Da questa riflessione trae, poi, spunti per nuove azioni. Azioni che devono essere mirate e funzionali, in un mondo dove “non è concesso perdere tempo”.
Per questo si tratta spesso di fermare la ruota in cui si sta girando. E’ un fermare i propri pensieri. E’ un dedicare del tempo a “fare il punto”.
Perché quando la mente si ferma e cristallizza i suoi pensieri l’azione diventa più fluida.
E può essere di aiuto avere qualcuno che fa delle domande per allargare il più possibile la visione del vissuto. Può essere di aiuto uno specchio parlante (a volte anche un po’ irriverente!).
Più elementi si hanno più si impara. Più si comprende e più si “vede” più è facile agire.Lo specchio parlante può fare questo. Riflette il pensiero di chi gli sta davanti e cerca di mettere in evidenza le luci e le ombre dell’esperienza.
Non sempre ciò che è è come ci appare.
Nel coaching si palesano anche altre prospettive. E’ un po’ come stare in una stanza piena di specchi: ogni diverso specchio riflette la stessa immagine da un’altra angolatura.
E non c’è la possibilità di voltare le spalle a se stessi. Perché il coach ha anche questo compito: mettere in luce quelle zone che si vorrebbero tenere in ombra o non si riescono a vedere perché non è stata accesa la giusta luce.
Il coach cerca di “allargare” la visione del proprio cliente. E per visione di deve intendere anche la capacità di vedere ciò che ancora non si è visto o non si vede.
Una persona che ho seguito in un percorso di coaching mi ha chiesto come sapevo di fare quella che, nel coaching stesso, viene definita una “domanda potente”. La mia risposta è stata “non lo so mai prima”. Non credo in quei coach che hanno “il kit delle domande potenti”.
Una domanda è davvero “forte”, “potenziante”, “efficace” quando, a mio avviso, riesce a illuminare una zona non ancora vista, valutata ed esplorata. Una domanda è “potente” quando il cliente ha la sensazione non più di trovarsi davanti ad uno specchio, bensì di trovarsi in una stanza circondata da specchi che riflettano la stessa immagine da tante angolature diverse. E in questa stanza ci si può muovere e girare la testa sentendosi sereni di guardare ciò che è veramente importante vedere.